RIPROPOSTA
JULIA
Mensile N°1 del 01/10/1998
132 pg. B/N Brossura L 4.000
SERGIO BONELLI EDITORE
Creatore, Soggetto e sceneggiatura: Giancarlo Berardi
Disegni: Luca Vannini
Copertina: Marco Soldi
Recensione/Approfondimento di Marco Solferini
L’ultima scommessa editoriale della celebre casa fumettistica italiana Sergio Bonelli Editore è da poco approdata in tutte le edicole ed è una scommessa che, come già preannunciato, rappresenta senza dubbio un traguardo veramente interessante per il fumetto italiano, poiché se una casa così importante, attenta alle tematiche sociali quanto ai sondaggi di marketing, decide di approvare un progetto così ambizioso che sfugge ai normali parametri fumettistici ai quali siamo da tempo abituati, allora ciò mi fa pensare che il lettore italiano si dimostri ancora una volta personaggio dal palato fine e delicato, qualcuno che vuole più del mero svago umoristico o dell’immaginario fantascientifico di cui la produzione nipponica sembra essere così ben fornita.
Tralasciando di elencare quelli che oramai mi sento di considerare come i “canoni” della produzione bonelliana, ovvero quei parametri che accompagnano la formazione di quasi tutti i personaggi, (basti citare le consuete somiglianze dei protagonisti e loro ausiliari con attori e attrici dello spettacolo presente o passato, la malsana tendenza a specificare e spesso ripetere concetti o dettagli che il lettore potrebbe identificare da sé e la costante presenza dell’organo di polizia come inevitabile collante per la costruzione del mosaico a novantotto pagine) le considerazioni in merito a questo numero uno sono più che buone poiché il prodotto si presenta in una veste solida, chiara, che pone direttamente le basi di quello che sarà il suo futuro rapporto con tutti coloro che vorranno apprezzarlo.
Un fumetto che sembra un romanzo. Un affermazione che per certi versi può sembrare obsoleta, ma che a mio avviso ha ben più di una ragion d’essere. E’ assolutamente necessario sottolineare il fatto che Julia Kendall è ispirata a Kay Scarpetta, la protagonista della fortunata serie di romanzi scritti da Patricia Cornwell che, lo scorso anno, ad ogni loro uscita, sono stati in testa alle classifiche di vendita per svariate settimane, ma non è in ciò che identifico Julia con il genere letterario romanzesco, bensì nel modo in cui l’opera completa si presenta al lettore.
Per essere il più preciso possibile specificherò le pagine ove ho riscontrato dei passaggi che a mio avviso sono i più significativi a supporto della mia teoria.
Alle pag. 24, 25 e 26, si introduce il sentimentale interlocutore telefonico con il quale Julia parla a più riprese durante l’arco delle 130 pagine. Lui, il personaggio al quale ella sembra essere legata, che fra l’altro è anche il suo agente, non si vede mai, perché il vero scopo di quei dialoghi è quello di introdurre un aneddoto sul quale costruire un primo approccio alla vita sentimentale della protagonista, una sorta di elegante scusa attraverso la quale si mette in evidenza da subito un aspetto fortemente umano del carattere di Julia e che è anche un ottimo espediente per allentare la morsa attorno al filo conduttore della trama e regalare al lettore quella sensazione di familiarità, di vita comune, nella quale è facile scoprire le proprie carte. Codesti passaggi si potrebbero definire come delle “sottotrame” o anche delle coscienze interiori, che hanno lo scopo di interessare il lettore e allo stesso tempo di ricamare meglio i contorni del personaggio. In un romanzo genericamente questi espedienti vengono utilizzati per lo più in una fase relativamente iniziale e successivamente vengono sfruttati per aumentare o diminuire la tensione in preparazione del climax ovvero il momento più saliente della narrazione.
I personaggi comprimari, se attentamente osservati risulteranno degli stereotipi impossibili, poiché ognuno di loro tende a non avere un vero e proprio carattere completo, ma soltanto degli aspetti molto marcati, sui quali essi insistono volutamente (Emily è fissata con i programmi della televisione, Webb è il tipico poliziotto che sa stare al gioco, ma non ama essere preso in giro, Irving è un aiutante spiritoso che serve a sdrammatizzare) supportati talvolta con delle puntate di ironia e di cinismo che li completano. In verità se ci si pensa bene, ci si rende conto che individui del genere non possono esistere perché nessun essere umano è fatto a comparti e la loro incompletezza è fortemente voluta, perché è attraverso di essa che loro narrano la protagonista, permettendole di imporsi grazie al più alto spessore caratteriale del quale essa viene dotata, perché a lei soltanto è permesso di mettere in luce più aspetti della sua personalità e quindi di dominare la scena. Anche questa pratica, di raccontare il proprio personaggio attraverso l’ausilio di altri, tramite i quali mettere in luce i vari aspetti della sua personalità, è molto usato dagli scrittori che altrimenti si ritroverebbero tutti ad un obbligata descrizione caratteriale che risulterebbe un infarinatura di parole e concetti che porterebbero soltanto ad annoiare il lettore.
Lo sviluppo di una trama, il procedere degli eventi in contemporanea con la tranquilla vita di colui che poi verrà trascinato dagli stessi verso un destino al quale sentirà di non poter sfuggire è anch’essa una pratica molto diffusa non solo nella letteratura odierna, ma anche nel cinema, perché ciò permette allo scrittore di evidenziare un lato comune a tutti gli esseri umani, quello di saper dare il meglio di se stessi in situazioni che normalmente si vorrebbero evitare.
Tutto ciò, assieme alle due facce della stessa medaglia in cui Julia è una tranquilla professoressa universitaria, (spunto interessante per soddisfare un po’ di bisogni meritori del lettore in merito alla psicologia criminale e alle materie che se ne occupano) ma anche una agguerrita indagatrice, attenta al particolare e spietata nell’interrogare coloro che io penso, alla lunga, saranno i veri mostri di quel fumetto: la gente “normale”, tutto ciò, rende Julia un fumetto la cui trama è più vicina ad un romanzo piuttosto che a una sceneggiatura. Forse anche da questo dipendono le pagine in più rispetto alle altre testate di casa Bonelli.
Nella speranza che Julia non diventi mai un vero e proprio poliziesco, ma continui ed anzi aumenti la carica emotiva e lo spessore psicologico della serie, mi permetto di consigliare una linea grafica d’immagine che a mio avviso sarebbe molto consona al genere trattato. Poiché i disegnatori a disposizione della casa editrice sono quasi tutti dei professionisti, capaci di realizzare delle tavole eccelse, sarebbe particolarmente utile che la collaborazione con lo sceneggiatore si incentrasse nel creare atmosfere noir, con un pizzico di malinconia, come se l’occhio di colui che crea, che vede l’azione all’interno della sua testa, rassomigliasse ad una telecamera la cui immagine risulti un po’ distorta, per fare un paragone da interpretare in un ottica da “fumetto”, a metà fra Dario Argento (quello dei tempi migliori) e Brian DePalma.
La suggestione, i particolari, caricheranno l’azione di una tensione sempre maggiore e col tempo potranno sostituire agli occhi di Julia Kendall quelli del lettore, che in questo modo si sentirà più vicino all’azione.
Come si può notare, il fumetto in questione si apre a moltissime soluzioni, ma deve anche prestare grande attenzione a due particolari nemici: la banalità e la ripetitività.
I serial killer sono oggi alla ribalta della cronaca, potenziati ed in alcuni casi esasperati dalle produzioni cinematografiche, ma non sono un fenomeno relativamente moderno, (esistevano fin dai tempi dell’antica Roma e probabilmente anche prima) non sono il parto di una società inespressiva e insensibile, una soluzione come questa sarebbe fin troppo banale, bisogna evitare la denuncia sociale, per una volta lasciamo fuori le tematiche da filosofi dell’ultima ora e dedichiamoci soltanto alla costruzione di un opera prima, bella ed originale.
Interessiamo il lettore tramite spiegazioni e teorie in merito alla criminologia, ma senza mai spingersi oltre i limiti di un qualsiasi corso che si può frequentare alla facoltà di psicologia. Attenersi alla scienza e tralasciare la filosofica fantasia che aprirebbe le porte ad un mondo con troppe soluzioni possibili ove si tenderebbe continuamente a cercare di stupire il lettore. Una trama semplice non vuol necessariamente dire che sia scontata, un lavoro ben fatto, avvincente e soprattutto convincente e sicuramente meglio di qualunque forzata invenzione soprattutto sul finale (anche in questo caso mi sento di dire che il cinema ci offre un lampante esempio con i Soliti Sospetti, un film di successo, che ha letteralmente drogato molti registi spingendoli a cambiare continuamente le proprie sceneggiature alla disperata ricerca di qualcosa che potesse stupire, di un inaspettato finale che, nel novanta percento dei casi, si rivelava una ciclopica ed inverosimile bufala).
Nel “Mastino dei Baskerville“, Sir. Arthur Conan Doyle, faceva pronunciare al suo celebre personaggio Sherlock Holmes, la seguente frase:
“Una volta eliminato tutto quanto di possibile o probabile potesse essere accaduto, quel che rimane, per quanto illogico o impossibile, è ciò che è realmente avvenuto.” Una soluzione dignitosa, degna del molto onorevole papà di quasi tutti i grandi detective, ma anche una soluzione semplice, chiara, una soluzione che fa pensare proprio perché anche se anomala, risulta essere estremamente veritiera.
Il mio invito è quindi quello di essere bravi, ma umili, di amare il personaggio di Julia Kendall e di non trasformarlo mai nello stereotipo di tutti i grandi romanzi ai quali essa forse si dovrà ispirare.
Il mio augurio è quello che ella abbia sempre qualcosa di unicamente suo, nel quale ogni lettore saprà ritrovare la propria dimensione soggettiva.
Concludendo, bisogna doverosamente ringraziare quanti hanno creduto in questa scommessa, coloro che ci hanno permesso di apprezzare ancora una volta il magico mondo delle vignette di carta, senza il quale sarebbe un po’ più difficile sognare.
Un “in bocca al lupo” a tutto lo staff di Julia.
GIUDIZIO