RIPROPOSTA
Questa è Made in Japan, la rubrica di Glamazonia dedicata esclusivamente al fumetto e all’animazione giapponese!
Nella speranza di essere i più esaurienti (e meno noiosi) possibile, vi auguriamo di diventare “otaku”(appassionati) come noi.
Mario Benenati
E un giorno arrivò!
ossia, l’articolo che volevate ma che non avete mai osato sperare di riuscire a leggere!
By Matteo Moroboshi
Come un fulmine a ciel sereno, rieccomi un’altra volta in questa sezione di “MiJ”!
Non preoccupatevi, a differenza delle due precedenti occasioni, non farò un mio articolo riguardo al mondo dell’animazione e del fumetto giapponese, ma per informare e rendere partecipe tutti coloro che non ne siano ancora a conoscenza, che é successo un avvenimento incredibile!
Finalmente un quotidiano ha pubblicato non uno ma addirittura due articoli chiaramente a favore dei fumetti e dei cartoni animati made in Jap.
Lo so, questo é il campo di Cristal, ma visto che non ha molto tempo di collaborare, ci ho pensato io.
Come dire, quando non c’é il gatto i topi ballano.
Quindi essendo ogni mia opinione superflua e forse ovvia, giudicate voi stessi leggendo gli articoli sopraccitati e da me riportati di seguito, in tutta la loro integrità.
Sono tratti da “Il Resto del Carlino” di lunedì 31 gennaio 2000 e le immagini sono quelle pubblicate sul giornale stesso.
Figli pacifisti e romantici
con gli eroi del Sol Levante
Arriva nei prossimi giorni nelle librerie, edito da Castelvecchi, “Mazinga nostalgia” di Marco Pellitteri, un saggio dedicato ai cartoni animati giapponesi e alla generazione di giovani da loro “allevata”. Dal libro, che è corredato da una prefazione del sociologo Alberto Abruzzese, per concessione dell’editore anticipiamo qui uno stralcio dedicato ai “manga”.
di Marco Pellitteri
Alcune osservazioni… I manga non sono “i fumetti porno”: sono i fumetti giapponesi, fra cui si distingue una moltitudine di generi, e solo alcuni di questi annoverano sia il sesso sia il sangue; la maggior parte o non contempla nessuno dei due elementi, o presenta solo “violenza” (o meglio, “avventura”), o solo “sesso” — il più delle volte commisti a ben altri temi come l’amore, la giustizia, lo sport, l’amicizia, il lavoro, la guerra, la storia, il mistero, il fantasy, l’umorismo. Infine, va fatto notare che per la maggior parte degli uomini giapponesi è un sogno uscire alle otto dall’ufficio: nell’Arcipelago di lavoro si muore. Non sono, infatti, pochi quelli che sostengono che i manga siano così letti in Giappone proprio perché vengono incontro, con le loro tematiche fantastiche e “liberatorie”, all’assurdità del sistema sociale giapponese e della stressante, opprimente vita lavorativa.
( … )
Insomma, dobbiamo ripeterci: l’insofferenza di una certa fascia generazionale, martellata dai mass media e succube dei propri schemi mentali, ha vissuto per anni una nippofobia che talvolta si è rivelata dannosa soprattutto dal punto di vista pedagogico, perché molti sono i casi di bambini che hanno avuto mortificato il loro mondo immaginifico dall’ansia paranoica della generazione adulta. Forse occorrerebbe un’approfondita ricerca etnografica per comprendere quale sia stato l’effetto, tra i bambini degli anni Settanta e Ottanta,non deicartoons in sé quanto della continua proibizione e, da parte dei genitori al guardarli e imitarne le gesta (…)
Mazinga e Goldrake, maestri di vita
I cartoons giapponesi non sono poi così negativi: hanno educato una generazione
di Massimiliano Melilli
La “Goldrake-generation” è cresciuta. Un’intera generazione ha costruito il suo immaginario sull’animazione giapponese tra fine anni Settanta e anni Ottanta inoltrati. Ed è in questi cartoons che i giovani che oggi stanno terminando l’università, ritrovano se stessi. E stanno bene. Anzi, benissimo. Partendo da uno sguardo preliminare sulla letteratura e i fumetti dell’epoca pretelevisiva appartenenti ai nonni e ai padri – dal “Corriere dei Piccoli” a “Diabolik” – per arrivare a Goldrake, Jeeg Robot d’acciaio, Candy-Candy, Heidi, Mazinga, Marco Pellitteri, dà alle stampe un bel saggio, “Mazinga nostalgia” (edizioni Castelvecchi), un lungo viaggio nel cuore di questo universo giovanile e nelle sue struggenti nostalgie. Una generazione raccontata dal di dentro, perché Pellitteri, l’autore, ha soli 27 anni.
La Goldrake generation è diventata adulta. Si è inserita nella società serenamente?
“II gruppo generazionale evolutosi con i cartoon giapponesi ha ricevuto una sorta di imprinting culturale molto diverso da quello con cui era cresciuta la generazione precedente, quella dei “padri”. Queste differenze valoriali e ideologiche fra gli eroi nipponici e quelli occidentali hanno svolto, in fondo, una funzione positiva: oggi i figli di Goldrake, i venti-trentenni, se sono pacifisti, anti-razzisti, romantici, lo devono anche ai contenuti trasmessi dai cartoon del Sol Levante. Gli under 30 vengono accusati di essere imbelli ma nessuno di loro, per il momento, ha mai scatenato guerre, per fortuna. Direi insomma che la Goldrake generation è cresciuta bene nonostante i genitori”.
L’arrivo in Italia dei cartoon giapponesi fu salutato dal grido “questi cartoni sono troppo violenti”. Possibile che un’analisi su queste produzioni ruoti solo intorno al binomio sesso-violenza?
“In Italia, alla fine degli anni Settanta, divenne evidente la cronica insofferenza delle generazioni adulte nei confronti degli eroi “nuovi”.
Inizialmente non ci fu un vero conflitto generazionale, tuttavia le gerarchie e le arretratezze culturali colpirono fortemente i cartoons nipponici, i cosiddetti anime: lo snodo epocale di cui Goldrake, Lady Oscar e Remì furono veicolo venne liquidato senza essere esaminato con occhio pedagogico dagli adulti di allora.
La superficialità la fece da padrone. Esplosioni e ammazzamenti, negli anime robotici, erano e sono quasi sempre contestualizzati e ad ogni modo i valori proposti, per quanto filtrati dalla cultura giapponese sono universali: pace, amicizia, spirito di gruppo, voglia di libertà”.
Il boicottaggio dei genitori, alla resa dei conti, che effetti produce sui giovani spettatori?
“Empiricamente, posso affermare che se un bambino, anzi chiunque, viene privato autoritariamente e senza spiegazioni di una sua passione, il suo interesse crescerà esponenzialmente, come tutti gli amori “clandestini”. E’ anche per questo motivo che schiere di venti-trentenni alimentano questo passionale revival degli anime: oggi sono adulti e nessuno adesso può dir loro cosa guardare in Tv, cosa leggere. “Mazinga nostalgia” é scritto anche con questo spirito: far capire a tutti che prima di criticare bisogna conoscere e che in ogni caso, le passioni dei bambini non vanno osteggiate. Al massimo, integrate con altre fonti culturali”.
Cartoni e Tv. Nel 1975 la Rai introduce la fascia oraria delle 19. In sostanza, é il requiem della Tv dei ragazzi. Questo passaggio come é stato vissuto dall’universo giovanile?
“Nel 1983, a mente serena quindi, Gianni Bono e Alfredo Castelli, sulle pagine della rivista “IF”, rilevavano che il passaggio di una programmazione televisiva settimanale alla proposta giornaliera di telefilm e cartoon, produsse una moltiplicazione degli eroi catodici. Tuttavia, il costante bisogno prima della Rai e dopo delle reti private, di procurarsi a basso costo sempre nuove serie per ragazzi, fece sì che il nostro etere fosse affollato anche da prodotti scadenti, sia giapponesi che statunitensi.
Ma ciò che veramente venne modificato fu il rapporto bambino/eroe: Goldrake, Capitan Harlock, Candy Candy e Heidi, divennero personaggi completamente multimediali, legandosi ai piccoli spettatori in un’unione affettiva ancora oggi indissolubile”.
Pelletteri, Tex Willer è un mito. I suoi estimatori stanno meglio della Goldrake-generation?
“Ciò che conta è che un eroe come Tex è multigenerazionale. Un Mazinga invece ha goduto di una parabola mediale tutto sommato breve, cinque anni di grande visibilità in Italia contro i cinquanta di Tex. Sperando di non essere irriverente, direi che se Tex è un grande maratoneta, Mazinga’ è un bravo centometrista ad ostacoli. Le due generazioni sono costituite in pratica da genitori e figli, Ma c’è una differenza. Se i padri disprezzano pregiudizialmente Mazinga dimostrando scarso rispetto per i figli, questi ultimi al contrario o riconoscono il valore di Tex o se ne disinteressano senza criticarlo”.
Siamo nel 2000 e dalla nascita di Candy Candy sembra essere passato un secolo. Secondo lei il genere robot rischia l’estinzione?
“No, nient’affatto. Da un lato, questo genere gode di buona salute: oltre alle numerose produzione giapponesi, come la recente “Neon Genesis Evangelion“, giunta in Italia solo in versione home-video, anche gli americani, magari in ritardo, si stanno accorgendo del fascino dell’automa ciclopico. Il film “Il gigante di ferro” della Warner Bros ne è la prova. Dall’altro lato, la moda revival ha coinvolto un po’ tutto l’asse Italia-Giappone. No, direi proprio che il genere robotico non sembra si stia estinguendo. Semplicemente, si sta adeguando alle tecnologie, al design e al pubblico di oggi”.