FINAL CRISIS 1
Testi di Grant Morrison, disegni di J.G. Jones
40 pagine, colore, spillato, formato 16.8×25.7, $ 3.99
DC Comics
Un numero d’esordio un po’ fiacco per il nuovo evento DC. Ma la lettura non è certo malvagia, e siamo anni luce dalla bolgia incomprensibile di Infinite Crisis. Tra uno sbadiglio e un deja-vu, attendiamo fiduciosi.
articolo di : Fabio Graziano
Prima di umiliarsi come giullare televisivo, Morgan dei Bluvertigo cantava profeticamente che “una crisi c’è sempre ogni volta che qualcosa non va” (“La Crisi”, 1999). Mi sa che si riferiva a Final Crisis, perché leggendo questo primo numero della saga, in effetti, c’è proprio la sensazione che qualcosa non sia a posto.
“Quando arriva una crisi riaffiorano alcuni ricordi che credevo persi”. Lo stesso si può dire della Justice League, che di fronte al problema della morte dei Nuovi Dei ne discute come se fosse la prima volta che il problema si presenta. In realtà, per i lettori, si è trattato di un (noioso) refrain udito per un anno intero nel corso di Countdown e dei suoi spin-off.
Durante la lettura di tutto l’albo, è come se l’autore volesse in ogni modo suscitare stupore per quanto accade in scena. Così, un po’ come quando si fanno le boccacce ai neonati o agli scimpanzé, i protagonisti sono utilizzati come specchio della reazione che si vorrebbe dipingere sui volti dei lettori. Purtroppo il meccanismo non scatta, anche perché le situazioni messe sul piatto sono quasi sempre tutt’altro che “nuove” e sconvolgenti. Vedi ad esempio l’ennesima versione della Injustice Gang, che dai tempi del preludio a Infinite Crisis infesta come gas soporifero ogni singolo anfratto del DC Universe. Una simile goffaggine si presenta con altri binari della trama, come quelli sul Dark Side Club (dagli sviluppi telefonati) e sui Monitor.
In ogni caso, per quanto la storia lasci freddini, almeno la sceneggiatura è scritta come Dio comanda, i dialoghi sono riusciti e, tra uno sbadiglio e l’altro, c’è pure spazio per qualche momento intrigante come quelli con Anthro e Kamandi. Ci si chiede, piuttosto, a cosa sia dovuta l’insolita lunghezza della storia, che non sembra affatto così ricca da giustificare il bisogno di pagine extra. Nelle prime cinque tavole, per giunta, ci sono in totale solo sette vignette. Sì, va bene la decompressione, ma vale la pena spenderci sopra un dollaro in più? Forse sì, ma solo per godersi i disegni strepitosi di J. G. Jones.
Da un numero d’esordio ci si aspetterebbe più energia, per incentivare l’acquisto del seguito. Ma la lettura non è certo malvagia. Siamo anni luce dalla bolgia incomprensibile di Infinite Crisis. Pur se ancora nella stessa galassia. L’attesa per i prossimi episodi è comunque fiduciosa. D’altronde, “quando inizia una crisi è un po’ tutto concesso, quasi come a carnevale”, no?
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