IL PARTIGIANO BLEK (seconda parte)
di Dario Biagiotti
La montagna e la lotta armata: la Resistenza dei Trappers
Prima pagina del primo numero di Blek [Fig.1 e Fig.2]. Il dramma ci viene sbattuto in faccia subito, brutalmente. Non è come ne Il comandante Mark: non ci sono preamboli, niente introduzioni al mondo del protagonista; a pensarci bene, non c’è propriamente un inizio. Ci troviamo in medias res, in una scena d’azione. Nelle prime due vignette, vediamo Blek aggirarsi nella foresta. Starebbe piazzando una trappola per volpi, ma è armato fino ai denti, perfettamente consapevole dello scenario in cui si trova e del ruolo che ha al suo interno. Di lì a poco, infatti, la puzza di guai lo conduce davanti a una capanna in fiamme. Vede un uomo e un ragazzino stesi per terra esanimi, due trappers. Soccorre subito il piccolo, che riprende i sensi tra le sue braccia: si chiama Roddy Lassiter e il corpo che giace riverso a due passi da lui è quello di suo padre. Le lacrime del bambino incontrano prima la virile consolazione di Blek (“Sii forte, i trappers non piangono”) e subito dopo la presa di coscienza di quanto accaduto. “Quelle canaglie l’hanno ucciso!” dice tra i singhiozzi. Blek capisce tutto (“Sono stati loro, vero piccolo?”) e decide di inviare dei segnali di fumo ai suoi trappers per convocarli a una riunione straordinaria.
Prontamente, questi si raccolgono presso una “grande cascata” precedentemente stabilita come punto di ritrovo e vengono raggiunti da Roddy, che li mette al corrente degli ultimi tragici eventi. Ancora una volta, l’identità degli assassini rimane sottintesa, benché nota a tutti: si parla di loro come di “quelle canaglie”, “quei vigliacchi”. Blek, nel frattempo, si imbatte negli assassini, due uomini in abiti civili, dopo averne seguito le tracce: ne ferisce uno, che riesce a fuggire, ma cattura l’altro. Raggiunge il ritrovo dei trappers per interrogarlo, ma poco prima che l’interrogatorio cominci, il prigioniero viene ucciso. Il mistero si infittisce, e le indagini di Blek e di Roddy porteranno a un piano ordito dal nuovo governatore inglese di Portland per cacciare i trappers dalle loro terre. Per il momento, questi sviluppi non ci interessano: rimaniamo su quanto appena descritto.
Il primo elemento che ci permette di distinguere i trappers di Blek da quelli storici e di accostarli ai partigiani è la consapevolezza, immediata e unanime, della propria scelta di campo. Contrariamente ai trappolatori nordamericani del XVII secolo, relativamente poco coinvolti nello scontro tra la Corona e i ribelli di Washington e spesso schierati a seconda di chi li ingaggiava, i nostri identificano senza ombra di ambiguità la loro posizione all’interno dello scenario rivoluzionario. L’individuazione del nemico nelle giubbe rosse è inequivocabile, al punto che non c’è nemmeno bisogno di ricordarne il nome quando ci si riferisce ai responsabili della morte del vecchio Lassiter, o, come vedremo successivamente, si preferirà per loro il termine “invasori”. La scelta della lotta armata è ineluttabile, unica misura possibile per liberare la Patria, e ciò porta a due conseguenze. La prima è l’accettazione di ogni eventuale prezzo da pagare, compreso quello della vita: la morte del padre di Roddy, seppure drammatica, non stupisce nessuno e non turba più di tanto gli animi dei trappers, poiché nella lotta per la libertà rimanere uccisi è una possibilità (se non una probabilità) da tenere per forza di cose in considerazione. Il modo in cui Blek consola Roddy, il tentativo di abituarlo subito alle durezze della guerra, da questo punto di vista è comprensibile e, a pensarci bene, finisce per trasformare il trauma del piccolo in una specie di battesimo del fuoco, in seguito al quale questi diventerà un combattente a tutti gli effetti (infatti, lo vediamo poche vignette dopo partecipare attivamente alla riunione dei trappers).
La seconda conseguenza è l’organizzazione sul territorio, forse la caratteristica che meglio rivela le distanze con gli omologhi storici e le somiglianze con i partigiani. Se i trappers reali non mostravano una coscienza di “gruppo” se non (in quanto commercianti) per tutelare i propri interessi di categoria di fronte alle autorità[1], Blek e i suoi costituiscono un autentico corpo paramilitare rivoluzionario, organizzato, strategicamente localizzato e dotato di infrastrutture. Nelle scene descritte sopra, si è parlato del punto di raccolta della “grande cascata”, uno dei tanti snodi logistici di cui dispongono i trappers che si alternano di episodio in episodio, ma il vero centro direttivo è rappresentato dal quartier generale. Il villaggio in cui è ambientata la vita quotidiana (e gli sketch comici) di Blek, Roddy e Occultis, ospita il grosso dei combattenti e fa da punto di riferimento sia esterno (i patrioti nelle città, sia che cerchino aiuto, sia che diano incarichi) che interno (le azioni e le iniziative intraprese dai trappers), grazie anche alla sua (assai significativa) ubicazione: una foresta, in montagna, relativamente lontana dai centri abitati e inaccessibile alle truppe inglesi.
L’evocazione della Resistenza, sia nella sua realtà storica che nella sua iconografia, non ha bisogno di ulteriori sforzi esegetici: la montagna come rifugio dei patrioti e base delle loro forze militari non è solo impressa indelebilmente nei libri di storia, ma nell’immaginario nazionale[2].
Le peculiarità organizzative e strutturali di Blek e i suoi trappers non hanno solo ragion d’essere nella somiglianza con i gruppi partigiani, ma sono funzionali alla specificità del nemico che devono combattere: le Giubbe Rosse.
[1] Cfr. http://www.thefurtrapper.com/
[2] Cfr. G. Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Laterza, Bari 1966, p. 13-5, 17-8, 20-1.
basta con il POLITICHESE..lasciamo fuori i personaggi del fumetto italiano e il Grande Blek e’ stato un CULT per i degli anni 50 & 60 ricordato ancora oggi da un discreto numero di aficionados italiani e anche Europei….