SHANGHAI DEVIL 18

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132603shdevil18SHANGHAI DEVIL 18
Testi di Gianfranco Manfredi, disegni di Stefano Biglia, copertina di Corrado Mastantuono
98 pagine, b/n, brossura, formato 21×16, Euro 2.90
Sergio Bonelli Editore

di Dario Berardi
Devo dire la verità: mi sono avvicinato a Shanghai Devil attirato dalla maschera, quasi cercando un supereroe italiano, senza sapere assolutamente di cosa parlasse la serie. Si trattava peraltro del mio ritorno a Bonelli dopo una latitanza ormai decennale, suppergiù dal n. 10 di Nathan Never, dovuta a una distrazione per, scusate se è poco, Gaiman, Azzarello & Co. Mi sono quindi stupito quando nelle avventure di Ugo Pastore, e nel lavoro di Gianfranco Manfredi, ho trovato molto più di quanto mi aspettassi. Ugo ha cominciato il suo cammino con fare vendicatore, quasi a voler confermare la mia opinione, facendo la pelle ad un trafficante di oppio, ma nello stesso tempo Manfredi ci metteva a disposizione squarci di ricostruzione della Cina del tempo. Andando avanti nel racconto, la drammaticità della situazione dell’epoca prende pian piano il sopravvento, e la vicenda individuale di Ugo Pastore/Shanghai Devil diventa la chiave per entrare a osservare l’umanità che popolava la Cina alla fine dell’800, e Manfredi ci permette di farlo a più livelli, sia sociali che psicologici. Devo ammettere che in alcuni frangenti ho dovuto ostinarmi per andare avanti, ma sono ben contento della mia cocciutaggine nel continuare a comprarlo, perché Manfredi ha dimostrato ciò che altri prima di lui, su tutti Carmelo Bene, avevano ripetuto, vale a dire che è inutile conoscere la Storia (sì, proprio quella con la “S” maiuscola), se non si prova a viverla in qualche maniera, altrimenti non rimane altro che “un racconto pieno di strepito e furore nella bocca di un pazzo”. Ed è proprio questo che Shanghai Devil ci permette di fare. C’è poi un altro aspetto molto letterario in questa serie, cioè l’attenzione ai “vinti”, quello che è un marchio Bonelli da DYD in poi, ma che applicandolo in ambito quasi storiografico, amplifica la sua potenza. C’è infatti una bella riflessione su come chi “vince” non sia sempre il migliore, e su come il racconto di ciò che è accaduto in un conflitto, vale a dire ciò che poi effettivamente resta nella memoria collettiva, venga fatto dai vincitori, tutto ben esemplificato nei personaggi del maggiore Knox e di Lady Jane. Anche la conclusione rilancia il messaggio, perché Ugo non vince perseguendo la vendetta che andava cercando, ma trovando la sua pace interiore. Sembra quasi che si voglia ripercorrere il cammino dei migliori Un uomo un’avventura. Complimenti quindi a Manfredi per questi aspetti, meno per quanto riguarda la suspense che il racconto non riesce molto a creare. Tornando al discorso iniziale sulla presenza della maschera, mi sono tolto lo scrupolo di contare le copertine, su 18 in 6 è mascherato, in 12 è senza maschera, in una gliela tolgono: non è un supereroe.
PS. Nell’ultima è uguale a Roberto Mancini!

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