Siamo giunti al terzo articolo, dopo l’introduzione di Marcello Vaccari (fondatore di Glamazonia), e l’analisi di “Vite Brevi” a cura di Fabio Ciaramaglia (che sarà il grande mattatore di questo Speciale),nel frattempo stanno arrivando nuovi tributi disegnati dedicati al Signore dei Sogni.
Mario Benenati
“Sogna ragazzo sogna”
Perché per tutti arriva inevitabile il momento in cui sognare è l’ultimo rifugio.
Di Alessandro Assiri
Questo non è un pezzo su Neil Gaiman, perché non sono all’altezza di scrivere di un maestro, non è un articolo su Sandman, perché altri hanno già riversato fiumi d’inchiostro, ma una sintesi sui contenuti di un fumetto che quando dispiega le ali diventa poesia.
Non molto tempo fa “eravamo solo noi, senza più santi ne eroi” ora siamo in tanti, siamo in buona compagnia. Molti eroi hanno cambiato indirizzo e pochi abitano ancora tra le nuvole di carta, una società demitizzata che ha consacrato al simbolo il suo essere non lascia spazio a eroiche figure salvatrici di mondi. Gaiman è uomo intelligente e dagli svariati mestieri, sa cogliere l’essenza del suo tempo e, grazie alle sue doti di narratore, sposta il piano del racconto decentrandolo, partorendo un universo narrativo dove il protagonista è il luogo, ma non un posto qualunque, bensì il territorio sconfinato del sogno, dove tutto può rientrare nel panorama del possibile. Un incredibile artificio letterario che consente interpretazioni svariate, che apre confini sino ad allora impensabili per la narrativa disegnata. Tante buone vite perdute nel limbo, nei meandri inestricabili della dimensione onirica.
Mentre il giorno si fa da parte per lasciare spazio all’oscurità nasce Sandman, non signore, ma custode del sogno, salvaguardia di quegli effluvi che emanano dalle nostre coscienze. Al di là di una continuity gestita con maestria potremmo, per assurdo, frammentare ogni sogno di qualunque delle molte figure che intervengono nella narrazione, riducendolo ad un tentativo di rappresentazione quotidiana di una realtà che si porta addosso tutti i mali del suo tempo. Il contenitore caotico, come caotico è ogni linguaggio simbolico, ci appare come un calderone fiabesco che continuamente ribolle, portando a galla mitologie perdute, rivisitazioni favolistiche che suonano come campanelli d’allarme, tesi a risvegliare tutto quello che credevamo perduto negli spazi angusti della nostra memoria. Le storie di Sandman sono una sfida lanciata al lettore, che ha bisogno di soffermarsi a lungo sulle tavole, di ponderare su dialoghi intensi che, nonostante buone traduzioni, non rendono in italiano come in lingua originale, Gaiman cattura l’attenzione, introducendo concetti che sono diventati oggi, dopo nove anni dall’apparizione delle prime storie in Italia (l’articolo originario è del settembre 2000, Ndr), patrimonio di un pensiero diffuso. Il grande tema dell’illusione, della “maya” buddista che aleggia sopra ogni episodio, evidenziandoci come tutto sia effimero e il confine tra sogno e realtà sempre più sottile, “il mito dell’eterno ritorno” di battaglie combattute sempre al piano di sopra, dove nemmeno la storia è più rifugio sicuro.
Gli “Endless“, gli eterni che esistono solo perché qualcuno li può pensare esistenti, che ci riportano in quel serbatoio delle idee di Platoniana memoria. La figura di “Desiderio” radice dei mali del mondo come altra immagine cara alla cultura buddista ed indù, la grande caratterizzazione di sorella “Death” rappresentata come dilemma necessario per un ascesi altrimenti preclusa. Ed infine Morfeo-Sandman che ci libera di quel vincolo impostoci dalla Marvel dove ad un grande potere dovevano corrispondere grandi responsabilità. Gaiman ci fa fare i conti con un Dio che abbandona l’uomo lasciandolo al suo destino, aprendo le porte a quell’oblio della creazione che altri sceneggiatori riprenderanno in altri soggetti con altri ottimi fumetti. La simbologia dell’abbandono appare come la rivoluzione più evidente, infatti nel panorama dei comics il “lasciare”, l’impotenza dell’eroe è stravolgimento narrativo, ma qui Gaiman ci propone la sua teologia, che vede, che scruta, che sonda qualcosa di più alto di più profondo di un semplice custode del sogno, vi è un ipotizzazione gerarchica che non ha mai la presunzione di giungere all’ultimo gradino.
Il Dio Morfeo sfugge da ogni antropomorfizzazione possibile scivolando tra le pagine, incuneandosi tra i sogni degli uomini, ma mantenendo un alterità complessa propria di quel divino che non ci sarà mai dato conoscere.
La didascalia sulla copertina degli albetti della Comic-Art diceva: “fumetto dark”, posso capire il marketing e posso capire Rinaldo Traini, ma a tutto c’è un limite.