JULIA – ALCUNE RECENSIONI DEI PRIMI NUMERI (sett. 1999)

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RIPROPOSTA

Secondo gruppo di recensioni, dopo quelle dedicate ai primi numeri di Dampyr Oggi accogliamo i numeri 1, 4, 5, 9, 10 ed 11 di Julia (della SBE). Buona lettura e/o rilettura.
Mario Benenati

Nota bene:  Le copertine sono state scaricate dal sito https://www.fumetto-online.it/ che ringraziamo. Per le copertine © degli aventi diritti


RECENSIONI N.ri  1, 4, 5, 9, 10 ed 11

JULIA

Mensile N°1

132 pg. B/N Brossura L 4.000

Costo attuale € 7,22 (antiquariato, su Fumetto on line)

SERGIO BONELLI EDITORE

Scceneggiatura: Giancarlo Berardi

Disegni: Vannini Luca

Recensione di Marco Solferini

L’ultima scommessa editoriale della celebre casa fumettistica italiana Sergio Bonelli Editore è da poco approdata in tutte le edicole ed è una scommessa che, come già preannunciato, rappresenta senza dubbio un traguardo veramente interessante per il fumetto italiano, poiché se una casa così importante, attenta alle tematiche sociali quanto ai sondaggi di marketing, decide di approvare un progetto così ambizioso che sfugge ai normali parametri fumettistici ai quali siamo da tempo abituati, allora ciò mi fa pensare che il lettore italiano si dimostri ancora una volta personaggio dal palato fine e delicato, qualcuno che vuole più del mero svago umoristico o dell’immaginario fantascientifico di cui la produzione nipponica sembra essere così ben fornita.
Tralasciando di elencare quelli che oramai mi sento di considerare come i “canoni” della produzione bonelliana, ovvero quei parametri che accompagnano la formazione di quasi tutti i personaggi, (basti citare le consuete somiglianze dei protagonisti e loro ausiliari con attori e attrici dello spettacolo presente o passato, la malsana tendenza a specificare e spesso ripetere concetti o dettagli che il lettore potrebbe identificare da sé e la costante presenza dell’organo di polizia come inevitabile collante per la costruzione del mosaico a novantotto pagine) le considerazioni in merito a questo numero uno sono più che buone poiché il prodotto si presenta in una veste solida, chiara, che pone direttamente le basi di quello che sarà il suo futuro rapporto con tutti coloro che vorranno apprezzarlo.
Un fumetto che sembra un romanzo. Un affermazione che per certi versi può sembrare obsoleta, ma che a mio avviso ha ben più di una ragion d’essere. E’ assolutamente necessario sottolineare il fatto che Julia Kendall è ispirata a Kay Scarpetta, la protagonista della fortunata serie di romanzi scritti da Particia Cornwell che, lo scorso anno, ad ogni loro uscita, sono stati in testa alle classifiche di vendita per svariate settimane, ma non è in ciò che identifico Julia con il genere letterario romanzesco, bensì nel modo in cui l’opera completa si presenta al lettore.
Per essere il più preciso possibile specificherò le pagine ove ho riscontrato dei passaggi che a mio avviso sono i più significativi a supporto della mia teoria.

Alle pag. 24, 25 e 26, si introduce il sentimentale interlocutore telefonico con il quale Julia parla a più riprese durante l’arco delle 130 pagine. Lui, il personaggio al quale ella sembra essere legata, che fra l’altro è anche il suo agente, non si vede mai, perché il vero scopo di quei dialoghi è quello di introdurre un aneddoto sul quale costruire un primo approccio alla vita sentimentale della protagonista, una sorta di elegante scusa attraverso la quale si mette in evidenza da subito un aspetto fortemente umano del carattere di Julia e che è anche un ottimo espediente per allentare la morsa attorno al filo conduttore della trama e regalare al lettore quella sensazione di familiarità, di vita comune, nella quale è facile scoprire le proprie carte. Codesti passaggi si potrebbero definire come delle “sottotrame” o anche delle coscienze interiori, che hanno lo scopo di interessare il lettore e allo stesso tempo di ricamare meglio i contorni del personaggio. In un romanzo genericamente questi espedienti vengono utilizzati per lo più in una fase relativamente iniziale e successivamente vengono sfruttati per aumentare o diminuire la tensione in preparazione del climax ovvero il momento più saliente della narrazione.

I personaggi comprimari, se attentamente osservati risulteranno degli stereotipi impossibili, poiché ognuno di loro tende a non avere un vero e proprio carattere completo, ma soltanto degli aspetti molto marcati, sui quali essi insistono volutamente (Emily è fissata con i programmi della televisione, Webb è il tipico poliziotto che sa stare al gioco, ma non ama essere preso in giro, Irving è un aiutante spiritoso che serve a sdrammatizzare) supportati talvolta con delle puntate di ironia e di cinismo che li completano. In verità se ci si pensa bene, ci si rende conto che individui del genere non possono esistere perché nessun essere umano è fatto a comparti e la loro incompletezza è fortemente voluta, perché è attraverso di essa che loro narrano la protagonista, permettendole di imporsi grazie al più alto spessore caratteriale del quale essa viene dotata, perché a lei soltanto è permesso di mettere in luce più aspetti della sua personalità e quindi di dominare la scena. Anche questa pratica, di raccontare il proprio personaggio attraverso l’ausilio di altri, tramite i quali mettere in luce i vari aspetti della sua personalità, è molto usato dagli scrittori che altrimenti si ritroverebbero tutti ad un obbligata descrizione caratteriale che risulterebbe un infarinatura di parole e concetti che porterebbero soltanto ad annoiare il lettore.

Lo sviluppo di una trama, il procedere degli eventi in contemporanea con la tranquilla vita di colui che poi verrà trascinato dagli stessi verso un destino al quale sentirà di non poter sfuggire è anch’essa una pratica molto diffusa non solo nella letteratura odierna, ma anche nel cinema, perché ciò permette allo scrittore di evidenziare un lato comune a tutti gli esseri umani, quello di saper dare il meglio di se stessi in situazioni che normalmente si vorrebbero evitare.
Tutto ciò, assieme alle due facce della stessa medaglia in cui Julia è una tranquilla professoressa universitaria, (spunto interessante per soddisfare un po’ di bisogni meritori del lettore in merito alla psicologia criminale e alle materie che se ne occupano) ma anche una agguerrita indagatrice, attenta al particolare e spietata nell’interrogare coloro che io penso, alla lunga, saranno i veri mostri di quel fumetto: la gente “normale”, tutto ciò, rende Julia un fumetto la cui trama è più vicina ad un romanzo piuttosto che a una sceneggiatura. Forse anche da questo dipendono le pagine in più rispetto alle altre testate di casa Bonelli.
Nella speranza che Julia non diventi mai un vero e proprio poliziesco, ma continui ed anzi aumenti la carica emotiva e lo spessore psicologico della serie, mi permetto di consigliare una linea grafica d’immagine che a mio avviso sarebbe molto consona al genere trattato. Poiché i disegnatori a disposizione della casa editrice sono quasi tutti dei professionisti, capaci di realizzare delle tavole eccelse, sarebbe particolarmente utile che la collaborazione con lo sceneggiatore si incentrasse nel creare atmosfere noir, con un pizzico di malinconia, come se l’occhio di colui che crea, che vede l’azione all’interno della sua testa, rassomigliasse ad una telecamera la cui immagine risulti un po’ distorta, per fare un paragone da interpretare in un ottica da “fumetto”, a metà fra Dario Argento (quello dei tempi migliori) e Bian DePalma.

La suggestione, i particolari, caricheranno l’azione di una tensione sempre maggiore e col tempo potranno sostituire agli occhi di Julia Kendall quelli del lettore, che in questo modo si sentirà più vicino all’azione.
Come si può notare, il fumetto in questione si apre a moltissime soluzioni, ma deve anche prestare grande attenzione a due particolari nemici: la banalità e la ripetitività.
I serial killer sono oggi alla ribalta della cronaca, potenziati ed in alcuni casi esasperati dalle produzioni cinematografiche, ma non sono un fenomeno relativamente moderno, (esistevano fin dai tempi dell’antica Roma e probabilmente anche prima) non sono il parto di una società inespressiva e insensibile, una soluzione come questa sarebbe fin troppo banale, bisogna evitare la denuncia sociale, per una volta lasciamo fuori le tematiche da filosofi dell’ultima ora e dedichiamoci soltanto alla costruzione di un opera prima, bella ed originale.

Interessiamo il lettore tramite spiegazioni e teorie in merito alla criminologia, ma senza mai spingersi oltre i limiti di un qualsiasi corso che si può frequentare alla facoltà di psicologia. Attenersi alla scienza e tralasciare la filosofica fantasia che aprirebbe le porte ad un mondo con troppe soluzioni possibili ove si tenderebbe continuamente a cercare di stupire il lettore. Una trama semplice non vuol necessariamente dire che sia scontata, un lavoro ben fatto, avvincente e soprattutto convincente e sicuramente meglio di qualunque forzata invenzione soprattutto sul finale (anche in questo caso mi sento di dire che il cinema ci offre un lampante esempio con i Soliti Sospetti, un film di successo, che ha letteralmente drogato molti registi spingendoli a cambiare continuamente le proprie sceneggiature alla disperata ricerca di qualcosa che potesse stupire, di un inaspettato finale che, nel novanta percento dei casi, si rivelava una ciclopica ed inverosimile bufala).

Nel “Mastino dei Baskerville“, Sir. Arthur Conan Doyle, faceva pronunciare al suo celebre personaggio Sherlock Holmes, la seguente frase:
“Una volta eliminato tutto quanto di possibile o probabile potesse essere accaduto, quel che rimane, per quanto illogico o impossibile, è ciò che è realmente avvenuto.” Una soluzione dignitosa, degna del molto onorevole papà di quasi tutti i grandi detective, ma anche una soluzione semplice, chiara, una soluzione che fa pensare proprio perché anche se anomala, risulta essere estremamente veritiera.
Il mio invito è quindi quello di essere bravi, ma umili, di amare il personaggio di Julia Kendall e di non trasformarlo mai nello stereotipo di tutti i grandi romanzi ai quali essa forse si dovrà ispirare.
Il mio augurio è quello che ella abbia sempre qualcosa di unicamente suo, nel quale ogni lettore saprà ritrovare la propria dimensione soggettiva.
Concludendo, bisogna doverosamente ringraziare quanti hanno creduto in questa scommessa, coloro che ci hanno permesso di apprezzare ancora una volta il magico mondo delle vignette di carta, senza il quale sarebbe un po’ più difficile sognare.
Un “in bocca al lupo” a tutto lo staff di Julia.

GIUDIZIO Ottimo

JULIA

Mensile N°4

132 pg. B/N Brossura L 4.000

Costo attuale € 3,40 (antiquariato, su Fumetto on line)

SERGIO BONELLI EDITORE

Sceneggiatore: MANTERO Maurizio

Disegnatore: DALL’AGNOL Pietro

Recensione di Marco Solferini

Terminata la trilogia d’apertura dedicata alla serial killer Myrna Harrod, Julia si trova a dover affrontare un nuovo e temibile avversario: un dinamitardo, convinto di poter ottenere giustizia nei confronti della polizia, attuando una serie di attentati esplosivi per guadagnare le prime pagine dei giornali e quindi far conoscere all’opinione pubblica la sua passata e triste esperienza. La trama, così presentata, può sembrare quella di una qualsiasi puntata da telefilm e la situazione di una città posta “sotto scacco” da un pazzo che si nasconde nell’ombra può essere lo script di base di una mega produzione cinematografica a sua volta ispirata da uno dei tanti fatti di cronaca che spesso confermano la tesi che la realtà supera la fantasia. Ciononostante ancora una volta il fumetto, il quarto della serie, appare solido ed appassionante, pur non senza alcuni picchi di lacunosa banalità (le lezioni di criminologia che Julia insegna all’università, trattano temi troppo complessi per poter essere relegati in due misere pagine e anche se queste non hanno il compito di soddisfare un bisogno meritorio del lettore bensì di allentare la tensione, il fatto di per sé rimane). Nel complesso però, ci sono dei miglioramenti o meglio delle conferme.

In primo luogo i personaggi che affiancano la protagonista si delineano sempre meglio e si inquadrano senza sbavature nel disegno globale della trama, allacciando e colmando i vuoti e gli spazi che si creano al momento in cui Julia passa dall’ambiente di lavoro a quello domestico, passaggio che, a mio avviso sarà sempre più marcato nei futuri episodi, poiché sono convinto che uno dei grandi dilemmi che ella dovrà affrontare in futuro sarà proprio quello di non permettere al suo lavoro di sottomettere la sua vita privata. Un altro punto a favore di Julia sono le sedute di psicanalisi nelle quali ella espone le sue teorie che, pur avendo un sapore romanzesco già ampiamente sentito in diverse salse, si presentano in modo semplice ma determinante ai fini dell’interessamento illativo che provocano nel lettore, il quale ne viene più affascinato che impressionato, ben diversamente da quanto accadeva invece dalla lettura delle ovvie deduzioni del molto onorevole Sig. Sherlok Holmes e di tutti i personaggi che a lui si sono ispirati, i quali apparivano troppo lontani ed irraggiungibili dai comuni esseri umani e perciò più che coinvolgere il lettore lo impressionavano, ma nessuno poteva identificarsi con loro mentre la semplicità di Julia lascia aperte tutte le porte dell’immaginazione (sia chiaro che non voglio fare un paragone fra i due personaggi appena citati poiché sarebbe quanto meno ridicolo, ma è necessario rilevare attentamente l’effetto emotivo che ogni storia suscita nel lettore e per farlo a volte bisogna ricorrere a dei paragoni o a degli esempi “estremi”). Anche tecnicamente il fumetto si presenta più che solido, sia il comportamento della polizia che quello della componente politica sono più che verosimili, anche perché certamente gli autori hanno ampiamente studiato l’argomento prima di cimentarcisi, a volte anche in maniera troppo minuziosa, ma certamente la credibilità di questo aspetto delle avventura di Julia era sicuramente considerato uno dei punti più rischio per la riuscita della serie e allora tanto vale andare sul sicuro.

Dopo tanta grazia era inevitabile passare alle dolenti note o meglio alla singola nota dolente, il cui stonato suono ha purtroppo parzialmente rovinato questo quarto episodio: il disegno, a mio avviso, completamente inadeguato. Julia necessita di un disegnatore dai tratti estremamente chiari e puliti, che sappia giocare con il contrasto di chiaro e scuro per creare atmosfere suggestive e soprattutto che sia minuzioso nella riproduzione degli ambienti, dei particolari e dei lineamenti del viso, un disegno, come direbbe la stessa criminologa, un po’ paranoico, perché l’ambientazione in questo caso è veramente una componente fondamentale, sia per quanto concerne la prassi investigativa sia per i trapassi da una situazione all’altra. Il fumetto rimane comunque più che godibile e da molte altre produzioni non si pretenderebbe altro, ma in questo caso bisogna essere più pignoli, perché le carte che possiede Julia sono più che buone e vanno gestite al meglio, con l’abilità di un buon giocatore, capace di saper scegliere quando e quanto osare, perché ciò che auspico è che il fumetto in questione possa crescere ancora, migliorandosi gradualmente fino a raggiungere quei livelli che normalmente lo porrebbero al disopra della comune produzione fumettistica mensile. Alcune premesse sono diventate conferme. I pezzi sono tutti disposti sulla scacchiera. Le centotrentadue pagine reclamano il loro posto nel cuore di ogni appassionato. Adesso l’onere della prova si risolverà in una primavera dalla quale ci si aspettano grandi cose e che tutti siamo pronti a gustare fino in fondo, senza però dimenticarci che le delusioni, in questi casi, fanno più male del solito.

GIUDIZIO Discreto

JULIA

Mensile N°5

132 pg. B/N Brossura L 4.000

Costo attuale € 3,40 (antiquariato, su Fumetto on line)

SERGIO BONELLI EDITORE

Sceneggiatore: MANTERO Maurizio

Disegnatore: ZUCCHERI Laura

Recensione di Marco Solferini

Generalmente quando si accenna ad un discorso basato sull’espressione “due facce della stessa medaglia”, ammesso che a pronunciare tale frase non sia il celebre avversario di Batman, si vogliono mettere in luce due estremi relativamente opposti, ma appartenenti alla medesima famiglia o raggruppamento ideologico. Nel caso in questione preferisco ricondurre queste ipotetiche facce a due numeri appartenenti alla stessa casa editrice, ma fra loro inimmaginabilmente distanti: Julia n. 5 e Dylan Dog n. 149. Del primo si possono tessere le indubbie doti narrative (non è più una novità) che sanno ben dosare i ritmi dell’azione, accelerando là dove è necessario e rallentando bruscamente, con l’ormai collaudata tecnica del trapasso, quando se ne avverte la necessità. E’ difficile trovare un punto debole nella storia “I sequestrati” e anche se non so se l’attore Kevin Spacey avrebbe accettato il ruolo di Pete (personaggio che spero non venga abbandonato nei numeri futuri) ed anche se il dualismo fra un soldato schizofrenico ed un suo superiore idealista è già stato visto come pure i traumi del dopo guerra, il tutto non risulta essere banale, bensì sufficientemente avvincente, con quei cattivi che a modo loro sono più vittime di coloro che tengono prigionieri, e quella violenza che non è strumentale al fine dell’interessamento del lettore, ma dosata nella quantità giusta e al giusto fine di esaltare gli eventi tanto quanto le reazioni emotive dei personaggi.

Dolorosamente ma inevitabilmente, devo mettere in luce qualche errore o meglio qualche superficialità: due per l’esattezza. Andando per ordine, a pag. 24 Julia, durante una lezione all’università, in risposta ad una domanda di un suo studente spiega che l’ipocondria è la paura immotivata di essere malati, il che, se ci rifacessimo all’origine greca del termine (la particella ipo e il termine condrius) è vero, ma oggi tale parola assume quel significato solo nell’ambiente medico-psicologico mentre nell’ambito della psicologia pura che interagisce con la criminologia e quanto altro, ipocondriaco è una persona afflitta da un grave senso di malinconia come fra l’altro ha avuto modo di spiegare lo scrittore James Ellroy proprio nell’ambito della mentalità criminale.

A pag. 73 Julia è in macchina e cita una frase di Sherlock Holmes tratta dal romanzo “Il mastino dei Baskerville”, ma la citazione è errata, poiché egli non dice: “eliminato l’impossibile tutto quel che rimane, per quanto improbabile, è la verità”, bensì l’opposto, e cioè che “una volta esaminati tutti i casi possibili ciò che rimane, per quanto improbabile, è la verità” una tesi che nel romanzo era volta a dimostrare che non sempre, quando manca una apparente spiegazione razionale, ci dev’essere di mezzo l’occulto. Comunque, al di là di questi piccoli sbagli, l’opera nel suo compresso è più che buona e quel che sorprende per davvero rimane il fatto che le sue componenti, scimmietta finale compresa, come pure lo era il gilet abbottonato alla perfezione del dinamitardo del numero precedente, sono tutte cose che un esperto lettore, che pratica la suddivisione dei propri interessi e che quindi non ha occhi solo per il fumetto, ma anche per elementi ad esso in qualche modo affini come possono essere i libri o il cinema, ha già visto o sentito, ma che nell’ambito di Julia riescono a risultare comunque avvincenti.

GIUDIZIO Buono

JULIA

Mensile N°9-10

132 pg. B/N Brossura L 4.000

Costo attuale di ogni albo  € 3,40 (antiquariato, su Fumetto on line)

SERGIO BONELLI EDITORE

Sceneggiatore: MANTERO Maurizio

Disegnatore del n.9: Caracuzzo Giancarlo

Disegnatore del n.10: PICCIONI Valerio

Recensione di Marco Solferini

Echi dal passato” e “Il reduce“, rispettivamente i numeri 9 e 10 di Julia sono davvero molto belli. Questo fumetto mantiene uno standard elevato, era un progetto ambizioso e si sta dimostrando all’altezza.

C’è una particolarità nelle storie di Julia e cioè il fatto di non essere affatto originali, tracce simili le si possono trovare in numerosi film e/o romanzi, i quali, a loro volta spesso prendono spunto, purtroppo, da fatti di cronaca. Nonostante ciò, il modo in cui le storie vengono sviluppate, quell’atmosfera che permea ogni pagina del fumetto è comunque naturale e gradevole. Il mondo di Julia funziona, e anche se a volte la soluzione dei misteri è un po’ scontata ben venga, piuttosto che una risoluzione fantasiosa e improbabile, che anziché stupire si rivelerebbe soltanto ridicola.

Le scelte in questo senso ci sono e sono sempre molto marcate. Nei due numeri sopra citati le figure dei killer, in particolare il basso e letale agente Polk, trasmettono alla narrazione una notevole dose di tensione, perchè alla fine ci si immagina che i nostri protagonisti dovranno incontrarli, ma lo scontro, c’è e non c’è, nel senso che la sparatoria si risolve in poche vignette, nel modo più ovvio e probabile, ma invito i lettori a riflettere che un’altra soluzione sarebbe potuta essere l’eventuale morte dello sceriffo e lo scontro fra Baxter e Polk nonché quello fra Julia e l’altro killer, il primo risolvibile in una scazzottata in stile Hollywood, il secondo più pacato, ma comunque simile a una risoluzione da thriller con Julia che alla fine spinge giù da una finestra il cattivo di turno dopo che quest’ultimo le ha dato la caccia per tutta la casa. Soluzioni spettacolari, ma in netto contrasto con la scelta che si è voluta operare e ciò quella di attenersi il più possibile alla realtà. Una giovane madre che ha ucciso il proprio bambino perché avrebbe rappresentato una catena indissolubile alla vita che finalmente le si prospettava o il ritorno di un fratello creduto morto che minaccia l’eredità e che per questo viene ucciso, sono trame facili da intuire, trame di vita reale, così possibili che di tanto in tanto il telegiornale ce le racconta, eppure efficaci, in grado di reggere quelle 132 pagine, in grado di raccontare la protagonista e i personaggi che le ruotano attorno senza mai essere banali.

Approvo molto questo modo di condurre la testata e spero che rimanga sempre fedele a questi canoni. Un appunto finale è doveroso farlo, in merito alle lettere che si leggono nella pagina della posta. Ho appena terminato la lettura di quella del numero 11 e trovo che, a prescindere dal suo contenuto come da quello di tutte le altre, i toni con cui sono redatte siano molto simili a quelli presenti in Julia, trasmettono sensazioni analoghe e sono spesso condite di metafore dolci, con cadenze armoniose, un indole sognatrice, ma repressa, la stessa che traspare in Julia, frutto di un residuo fanciullesco che non si è mai assopito del tutto e che cerca sfogo nelle parole di un adulto. Queste lettere sono anche un ottimo prologo al fumetto in quanto introducono bene al mondo DI Julia e non al mondo che le ruota attorno, ma proprio a quello che lei ha dentro di sé. Quelle lettere sono un modo per tagliare con quanto circonda il lettore, con la sua vita e immergersi nel mondo del fumetto senza doverlo fare attraverso e prime pagine di quest’ultimo, una sorta di prologo o premessa di ciò che il testo ci trasmetterà. Le coincidenze esistono. Mi auguro che siano autentiche.

GIUDIZIO Buono

JULIA

Mensile N°11

132 pg. B/N Brossura L 4.000

Costo attuale € 3,40 (antiquariato, su Fumetto on line)

SERGIO BONELLI EDITORE

Scceneggiatura: Giancarlo Berardi

Disegni: Sergio Toppi

Recensione di Marco Solferini

Immancabilmente, quando un albo della Bonelli punta i riflettori sulle tematiche sociali, la qualità del fumetto cala vistosamente e pare che codesta regola abbia travolto anche Julia, che con il numero 11 spezza la lunga serie positiva che a lungo abbiamo lodato. La storia è misera, un crogiolo di sensazioni prevedibili dal ritmo lento e impacciato. Le deduzioni di Julia sono prive di logica, nulla lasciava intendere che fossero stati i vecchietti a smembrare il corpo del loro coinquilino nella casa di riposo e anche la motivazione non è delle migliori. I personaggi del direttore e della ragazza che intreccia con lui una relazione d’amore clandestina sono scontati e il finale della loro storia è da copione di serie B. Inoltre fanno il verso allo stile dei personaggi di Agatha Cristy .Anche la scena d’azione con il ladro d’auto è sopra le righe e si capisce immediatamente che doveva servire per sbrogliare la matassa, un espediente funzionale alla storia.

La vita privata di Julia ha poco spessore, sia la scenata depressiva della sua amica Emily che il sogno, sono episodi prolissi e fuori luogo. Il dialogo con sua nonna era prevedibile fin dalla prima vignetta, ma è anche troppo melenso e bonario per risultare credibile. Anche il disegno non è dei migliori, gli ambienti sono ripetitivi, privi di un identità propria e non trasmettono sensazioni alcune, il che, considerato la voluta lunghezza dell’albo è piuttosto deprecabile. Lo si sapeva già da tempo che la storia era il punto nevralgico di Julia, se crolla lei, il resto le va dietro a ruota. Un passo falso capita a tutti, ma l’importante è riprendere subito la retta via… quella che noi tutti amiamo. Prima di concludere una segnalazione più che doverosa sul copertinista: il bravo Marco Soldi migliora ogni mese ed è più che adatto al noir della collana.

GIUDIZIO scarso

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