RIPROPOSTA
Terzo gruppo di recensioni, due scritte da Marco Solferini ed una da Alessandro Assiri, dopo quelle dedicate ai primi numeri di Dampyr, ed ai primi numeri Julia.
Oggi rileggiamo tre recensioni di albi Dylan Dog, distanti tra loro sette anni.
Buona lettura e/o rilettura.
Mario Benenati
Nota bene: Le copertine sono state scaricate dal sito https://www.fumetto-online.it/ che ringraziamo. Per le copertine © degli aventi diritti
Dylan Dog n°149
(prima edizione: febbraio 1999)
98 pg. B/N Brossura L 3.500 – Antiquaritato € 2,98 € 3,50 (-15%)
SERGIO BONELLI EDITORE
Soggetto e sceneggiatura: Tiziano Sclavi, Pasquale Ruju
Disegni: Ugolino Cossu
Copertina: Angelo Stano
Recensione di Marco Solferini
Decisamente poco avvincente è l’ultimo numero 149 di Dylan Dog ( l’articolo è del marzo 1999, nda) ed anche questa non è una novità, che si presenta più scialbo ed insipido che mai, ove l’unica cosa che regge sono le battute del suo assistente che però hanno il sapore della medicina prescritta dal medico, come pure le immancabili avventure sentimentali che sembrano anch’esse un obbligo per ogni sceneggiatore e che risultano non solo assurde, ma anche letteralmente parlando oscene poiché i personaggi femminili cominciano a non aver più il benché minimo spessore psicologico, l’unica cosa che cambia sono i capelli.
La storia poi è pessima, colma di assurdi colpi di scena e di immotivate spiegazioni finali (patetico il fatto che il direttore Fontleroy avesse ritrovato i figli dei suoi aguzzini così come patetica è la presenza dei soldati americani che naturalmente si dilungano in una spiegazione minuziosa del perché sono giunti sul posto). Se poi osserviamo che da pag. 38 a pag. 41 la narrazione viene interrotta da un assurda scena splatter, che non ha niente a che vedere con la storia, e che serve solo per ricordare che Dylan è un fumetto dell’orrore (cosa che peraltro non è più da parecchio tempo), ci rendiamo perfettamente conto che ormai le storie di questo fumetto vengono affidate a degli sceneggiatori che hanno poche idee, attorno alle quali costruiscono un castello di carte di 98 pagine, che risultano farcite di scarso ritmo, scarsa inventiva, personaggi secondari che più che ricordare delle persone sembrano essere delle comparse teatrali di serie B, e, quel che è peggio, una storia che non lascia niente e ripeto assolutamente niente al lettore.
Ci si potrebbe dilungare a lungo sul perché un fumetto che è stato fra i migliori del passato sia diventato un vero “mostro”, ma non è questo il momento, perché una simile analisi richiederebbe un intero articolo tutto per sé. L’ultima cosa che mi sento di dire di questo numero 149 riguarda quella specie di telecomando che secondo lo sceneggiatore gli esseri umani costruiranno alcuni secoli dopo (bellissima spiegazione, davvero molto fantascientifica) e che rasenta il ridicolo, riuscendo a rovinare anche l’unica scena che si sarebbe potuta salvare ovvero quella dell’intrusione dei tre ragazzi nell’infermeria. A mio avviso era molto più bella quella specie di console che aveva il bambino del film “Chissà perché capitano tutte a me” dove almeno il compito era quello di far ridere gli spettatori, o meglio i bambini che guardavano quel film, ma per noi che bambini piccoli più non siamo, e che non ci troviamo niente da ridere nell’albo “L’alieno”, ci domandiamo soltanto se il collezionismo di una serie valga davvero la pena anche quando si tratta di “buttare via” dei soldi per comprarne i numeri.
GIUDIZIO |
Dylan Dog n°153-154
(prima edizione: giugno-luglio 1999)
98 pg. B/N Brossura L 3.500 – – Antiquaritato € 2,98 € 3,50 (-15%)
SERGIO BONELLI EDITORE
n.153: Soggetto Carlo Lucarelli – Sceneggiatura: Tiziano Sclavi
Disegni: Giovanni Freghieri – Copertina: Angelo Stano
n.154: Soggetto e Sceneggiatura: Michele Medda
Disegni: Luigi Piccatto – Copertina: Angelo Stano
Recensione di Marco Solferini
Adesso le abbiamo davvero viste tutte, o meglio le abbiamo lette tutte.
Con i numeri 153 e 154 Dylan Dog ha superato se stesso, ma lo ha fatto in retromarcia perché ha toccato minimi storici ed ha confermato la regola secondo la quale al peggio non c’è mai fine, o almeno finché non si decide di dargliene una, secca e definitiva. Questa è l’ultima recensione relativa a Dylan perché non intendo prestarmi a questo scempio oltre il limite della decenza che si è ormai superato da tempo. Anche i collezionisti hanno un anima e soprattutto dei gusti perciò, per essere in pace con la prima e valorizzare i secondi, abbandono la collezione e smetto di comprare ogni mese Dylan Dog.
“La strada verso il nulla“, il numero 153, è un esempio di come da un idea, peraltro non molto originale, si possano trascinare la bellezza di 98 pagine nelle quali non succede niente, soltanto un noia assoluta, interrotta dalle puntuali e squallide citazioni sul rispetto dei limiti di velocità, della prudenza e di tutto ciò che ogni sera si può trovare al telegiornale. Il fatto che Dylan, davanti all’incidente citi la proverbiale serata in discoteca e la cena con gli amici per poi condire il tutto con la scadente retorica del domani che non c’è più, è un insulto ai lettori. Se volevamo una cosa del genere compravamo un quotidiano. La stessa cosa vale per i ragazzi del cavalcavia; tutto l’albo è soltanto un “messaggio” ai giovani che arriva puntuale con il periodo estivo ed è un ulteriore insulto agli stessi, perché pensare che bastino due paroline o meglio due vignette di Dylan Dog per far si che ci senta più responsabili equivale a considerare i fruitori di tali messaggi dei deficienti, incapaci a ragionare con la propria testa.
Gli autori penseranno che Dylan vuole solo dare il suo contributo, perché è sensibile ai problemi sociali e ci tiene a fare quanto in suo potere per far si che almeno una vita possa essere risparmiata, ma è un fumetto, e il suo primo obbligo è nei confronti dei lettori. La cruda realtà delle tematiche sociali purtroppo esiste, ma non è questa la sede per trattare simili argomenti e non è il modo per proporli, se proprio la Bonelli vuole recitare la parte del buon samaritano si stampi un bel numero speciale di Dylan tutto incentrato sulla sicurezza stradale e lo distribuisca gratuitamente ai caselli dell’autostrada o nelle scuole o in tutti i posti dove ritiene necessario farlo.
Il fumetto è scadente, è una caricatura di se stesso, con continui scontri con il camion nero guidato dalla morte (peraltro praticamente copiati dal bellissimo film di S. Spilberg). Le soste forzate e le filastrocche peraltro banali, sono fatte per sostenere una trama scialba e insapore, una noia totale, che si conclude con la classica avventura sentimentale del protagonista e con l’inevitabile finale strappa lacrime della ragazza che voleva fuggire dalla realtà che la opprimeva e ha incontrato la morte. Sui disegni non ho niente da ridire, sono validi, lo sono quasi sempre anche se va puntualizzato che seguire una sceneggiatura del genere non impegna più di tanto un bravo disegnatore.
“Il battito del tempo“, il numero 154 ci regala lo stupro della fata Tinkler Bell compagna del celebre Peter Pan ad opera dei ragazzi venuti dal Mondo che C’è. Un possibile seguito potrebbe essere con Biancaneve e i sette nani. Medda è un buon narratore, lo dimostra in alcuni spezzoni relativi alla finta vita che sogna Peter Pan, esalta molto le sensazioni, gli odori, cerca di creare atmosfera, mi ha fatto venire in mente coloro che dirigono le pubblicità e un bel giorno s’inventano registi cinematografici.
La trama è assurda: cinque vecchi decrepiti violentano la fata mentre Peter Pan, un perfetto spastico, dorme. A seguito di questa edificante esperienza i cinque vecchi tornano giovani, ma la fata non è contenta, non ha gradito lo scherzetto e perciò li ammazza tutti. Peter Pan si riprende in modo assurdo e convince la fata a far tornare indietro il tempo mentre Dylan è a colloquio con la morte. Io vorrei che ogni lettore riflettesse sulla banalità e l’assurdità di una simile trama, ho trovato di meglio nei foglietti che accompagnano i baci perugina, se non altro sono anch’essi senza senso, ma almeno sono brevi, mentre invece la storia in questione è lunga e prolissa, condita naturalmente dalla scappatella di Dylan che se ogni mese non fa la sua parte in quel senso evidentemente perderebbe il suo sex appeal. Il buon Picatto fa del suo meglio e i risultati si vedono, ma è un salvagente in un mare in tempesta. Tutto molto brutto. Un epilogo indegno per una serie che ha saputo essere molto affascinante, che ha saputo creare alcuni numeri coinvolgenti, apprezzabili sotto ogni punto di vista. Il marketing è nemico della qualità. Questo è risaputo, ma nessuno ci impone di sottoporci ad un simile orrore, perché alla fine, Dylan Dog, che non è più da molto tempo un fumetto dell’orrore, è riuscito a ritornare ad esserlo, solo che lo ha fatto nel senso sbagliato. Infatti Dylan Dog è un fumetto… orrendo.
GIUDIZIO |
Dylan Dog n. 240
(prima edizione: agosto 2006)
Soggetto e sceneggiatura: Tiziano Sclavi
Disegni: Franco Saudelli
Copertina: Angelo Stano
98 pg. B/N Brossura
SERGIO BONELLI EDITORE
Recensione di Alessandro Assiri
Dopo cinque anni Sclavi torna a occuparsi della sua creatura.
Lo fa, in modo metafisico, nella storia in edicola di questo settembre 2006. Il titolo è Ucronia, ma più che essere un “what if” lo svolgimento si basa sugli interrogativi dell’esistenza, la realtà come pausa del nulla, retaggio di quell’esistenzialismo un po’ generazionale, vittima di Heidegger e del suo esser gettati nel mondo, ma a fare che?
Una sceneggiatura onirica, non splatter, segno forse del superamento di certi periodi visionari del nostro Tiziano, ma vibrante tesa, senza mai giocare di sponda.
Una bella storia, con tutti i crismi dilandoghiani, le battute di Groucho, le passioni di Dylan etc , ma che ci riporta in quella dimensione dove ci si chiede il senso dell’agire… fosse solo l’agire per spendere bene 2,50 euro, e nemmeno in Dylan Dog succedeva da un po’.
Avremmo bisogno in ogni testata di ritornare alla qualità delle storie, e questa Ucronia l’ho letta anche come saluto a Carlo Ambrosini e al suo Napoleone, un altro sintomo che le novità quando ci sono sembrano eresie, e a volte le chiamiamo crisi editoriali o ci appelliamo all’elevato costo della carta, quando a mancare sono solo ed esclusivamente le belle storie.
GIUDIZIO |