Queste riflessioni sono basate esclusivamente sulla lettura del primo
TPB di Authority della Magic Press e senza conoscere i fatti antecedenti di
Stormwatch
« Chi sta andando a fermarli, Jenny? ».
« Una più alta Autorità ».
La sottrazione sembra essere un valore dei nostri tempi.
Creativamente convinti che ormai l’invenzione pura non è più possibile, le
strade da percorrere sono altre, tutte sul tema della variazione: la
contaminazione, la proporzione distorta. E la sottrazione.
La sottrazione è da sempre sinonimo di rigore. Il poeta Virgilio diceva che
di mattina componeva e di pomeriggio cancellava. La sottrazione significa
andare all’osso, togliere il superfluo, anche quello che in un primo momento
non pensiamo sia tale.
Allora, Authority è un fumetto minimalista?
Parlandomene (e quanto l’ha fatto!) l’ottimo Lawyer
ha usato un aggettivo quanto mai azzeccato: “decostruito”.
Authority spoglia, letteralmente, il vecchio edificio del fumetto supereroico.
Non si limita a togliere le maniglie delle porte: toglie proprio i muri, ne
lascia la struttura nuda. Dal punto di vista del concept di base, della
costruzione narrativa, toglie gli elementi più stratificati, arrugginiti,
condensati, convulsi. L’impressione è quella di una vecchia barca a cui
vengono tolte tutte le incrostazioni, di un’automobile che viene pulita,
lucidata, e poi modellata fino a diventare perfettamente aerodinamica, “streamlined”,
perfetta per fendere l’aria, e correre. Nulla sembra fermare la lettura di
Authority. E’ una cavalcata che non produce i propri ostacoli. E’ proprio
un’auto perfetta che corre.
Ma la sottrazione investe anche il livello del “patto” narrativo
con il lettore, la classica sospensione dell’incredulità. Nel senso che
Authority chiede molto di più alla fiducia del lettore. Chiede di completare.
Chiede di chiudere tutti i buchi nei muri. Una scommessa (vinta, a quanto
pare) da parte di Ellis? La realizzazione del fatto che ormai molti elementi
melodrammatici sono totalmente ridondanti? La conclusione che lo spettatore,
che sia anche (o soprattutto?) un lettore occasionale, ha ormai interiorizzato
- con decenni di fiction, telefilm, videogiochi e perché no, TG alle spalle -
una propria “costruzione retorica ” interna, il fatto che NON
C’E’ ALCUN BISOGNO di ritrarre una vittima, o un eroe, per più di
un’inquadratura, perché quella singola inquadratura è totalmente
sufficiente, e il resto è lo spettatore stesso che lo completa, dentro di sé?
Qualche esempio. Authority non ritrae il proprio mondo. Si può intuire che
sia praticamente il nostro, veloce, multimedializzato, popoloso e stanco.
Popolato da manichini che muoiono. Non importa il ritratto del mondo, è un
rallentamento. Per andare in scena serve uno scenario, ed eccolo, e non ha uno
spessore maggiore dei fondali dipinti dei teatri di una volta.
Authority non ritrae personaggi. Authority crea ruoli. Un personaggio è
complesso, ricco di contraddizioni, lungo e difficile da scolpire. E sono
sicuro che Ellis è perfettamente in grado di farlo se vuole. Ma qui sceglie
un’altra strada. Il personaggio è un rallentamento.
E allora sono sufficienti “figure” come quelle di Poe, ruoli
immediatamente riconoscibili e ben amalgamabili, che sfiorano la nostra
cultura e destano in noi sensazioni di riconoscimento.
Le due citazioni più palesi, Apollo e Midnighter. I ruoli più
classici e basilari. Doctor, l’infarinatura new age e mistica, che sa tanto di quelli che
in casa hanno le candele d’incenso e meditano nella posizione del loto tutte
le sere. Un personaggio che ci rassicura, un personaggio che è padrone del
proprio passato ancestrale; che da drogato nullità che era, ha trovato le
proprie radici, la più grande ricchezza, e non è mai SOLO, perché i suoi
avi sono sempre con lui, e lo consigliano e lo confortano.
Una spruzzata di naturismo con Swift, il ritratto di una sensibilità
libera, ampia, che ci riscatta dalle nostre sensazioni sempre più negate, dai
nostri sensi sempre più violentati e compressi.
Un elemento di positivismo (con un pizzico di inquietudine) con Engineer,
la fiducia più totale nelle macchine, nella tecnologia e nella mente
calcolatrice. Ed è interessante notare come, per contrasto, sia il
personaggio più portato a dubbi di carattere morale.
La pensata più post-moderna con Hawksmoor, che in realtà può essere
letto come la sublimazione della sensazione di alienazione che creano le
metropoli moderne.
E poi, Jennifer Sparks. Non molto tempo fa, Beppe Severgnini proponeva
uno spunto interessante di analisi del “carattere nazionale” americano, in
un articolo sul Corriere che non era assolutamente abbastanza profondo e
documentato per essere un vero saggio, ma comunque le osservazioni mi sembra
si adattino perfettamente a Jenny, anche se lei è inglese (e Ellis pure).
Severgnini individuava due valori, due capisaldi del pensare comune americano:
“To be in control” e “To do something”. “Avere
il controllo” e “Fare qualcosa”. Nelle difficoltà, da
quelle più banali a quelle globali, la reazione dello yankee, secondo
Severgnini, è lontana da ogni fatalismo ma al contrario impone un vero
impegno, mentale e fisico, per affrontare la difficoltà e risolverla.
L’articolo di Severgnini era scritto con riferimenti alla reazione emotiva
all’attentato dell’11/9 e all’intervento in Iraq ma, ripeto, non si può
pretenderne più di tanta profondità. “To be in control” e “To
do something”. Sono concetti che si adattano perfettamente a Jennifer
Sparks. Una donna leader, burbera, bella, definita da una paranoia di comando
neanche troppo strisciante (freudianamente simboleggiata dalla onnipresente
sigaretta?), da una fottuta volontà di controllo.
“To be in control” e “To do something”. A ben
pensarci, sono i concetti che definiscono tutto l’edificio narrativo di
Authority. Da sempre i super-eroi lavorano per sublimazione, per permetterci
di sfogare, con modo catartico, le nostre repressioni e frustrazioni.
Authority è la perfetta sublimazione per il 21° secolo.
« Chi sta andando a fermarli, Jenny? ».
« Una più alta Autorità ».
Dunque, da cosa è definita questa Autorità, che porta i colori di una
maglietta che sarebbe piaciuta a Keith Moon ed emerge da un portale che sembra
un poster della San Francisco della Summer of Love? Perchè questa Autorità
è tale?
Da quanto si vede in questi primi due story-arc, Authority è definita dal
potere. O meglio, dal “poter fare”, dal poter compiere azioni che
altri non possono. Il “controllo” e il “fare qualcosa”.
Di “superiore” c’è la loro libertà di movimento, la loro
possibilità di comandare forze impressionanti, la possibilità di eseguire
“magie” di varia natura, giocando sul filo della contaminazione
di generi. La possibilità di godere di spettacoli unici, come la scogliera
dei telepati latenti. E la possibilità di fare stragi.
Ma c’è un’etica, “superiore” o meno, una deontologia, un
insieme di valori dietro questo potere? La risposta, per quanto danno da
vedere queste otto storie, è no.
Authority ricopre il ruolo di “buono” per definizione, per assioma.
Perfino quando le sue stesse azioni mettono in seria discussione questa
“bontà”. Authority non è definito dalle sue azioni. E’ al di sopra di
esse.
La sottrazione maggiore, la più grande sottrazione che è anche la grande
intuizione di Ellis, è l’eliminazione del senso di colpa.
In Authority il senso di colpa è completamente estirpato. Quello che era il
“primus immobilis”, il motore principale dei comics dai tempi di
Bruce Wayne e Peter Parker, sembra completamente assente (ma affiora in certe
frasi di Jennifer Sparks: « Succedono brutte cose quando comando una
squadra... »).
Authority non si pone dubbi. Elimina i bambini clonati come se fossero
semplici strumenti. Fa precipitare decine di navi piene di persone. Sommerge
l’Italia. Il “nemico” è fuori da ogni sfera di pietà, da ogni
tentativo di recupero, di insegnamento. Il nemico si distrugge, e basta.
E quanto è puro, semplice, questo mondo di Authority! E’ un mondo
narrativamente semplificato, “decostruito” oppure, volendo fare un passo
ulteriore, è un mondo purificato, alla Evangelion, dove non esiste più il
senso di colpa, la paura del potere? Ma allora la morale che siamo tanto
abituati a trovare nel MU o nel nostro stesso agire, nasce esclusivamente dal
senso di colpa? Dalla paura di esercitare il potere? Dal “homo homini
lupus” di Hobbes? In un mondo puro non esiste morale? E pertanto il
potere stesso si gestisce quasi a livello genetico, darwiniano, con processi
che sono al di là del bene e del male?
« Non fateci incazzare ».
Stralcio di dialoghi del numero 8, verso la fine:
« Se necessario... ».
« Possiamo... ».
« Se ci fosse chiesto... ».
« Se fosse necessario... ».
Dopo la distruzione, i falchi si tramutano in colombe. Non sono difensori,
sono giustizieri, giudici e boia, eppure cercano di togliersi dal cono di luce
fascista che cade loro addosso con quel fiorire di “Se volete”,
“Se fosse necessario”. Ma a cose fatte. Necessario per chi? E chi
decide cosa è necessario? A chi è stato chiesto il parere di sommergere
l’Italia?
Ma chi se ne frega delle forme di governo democratico! Rompiamo il culo ai
cattivi! Anche sommergendo una nazione! Che palle le remore morali, i dubbi...
I dubbi sono un rallentamento.
Tutto il mondo ci riempie di dubbi, di insicurezze, di frustrazioni.
Ed ecco che Authority interpreta, in chiave 21st Century Schizoid Man,
il ruolo della sublimazione, della catarsi. Ma è una catarsi malata.
Un fumetto pieno di certezze! Dove sublimare l’aggressività con storie
inarrestabili come un carro armato, dove la gente non si fa seghe mentali, ma
sa sempre cosa fare e ha il potere di farlo.
Personalmente, trovo una componente eccessiva di “exploitment” in
questo progetto. Questo termine, “exploitment”, nasce negli anni
‘70, per indicare uno “sfruttamento commerciale” di emergenti
tematiche sociali. La “black awareness” dei neri americani, il
femminismo, tutti questi movimenti furono “exploited” in film,
romanzi, persino fumetti, creati in tempi brevi e a costo zero per sfruttare
l’onda dell’interesse pubblico. Lo “sfruttamento” commerciale
della manifestazione di un bisogno sociale.
Un disco di The The si intitola “The Pornography of despair”.
Authority potrebbe essere “Pornography of frustration”. Titilla
la nostra frustrazione dicendoci che non dobbiamo avere dubbi, basta saper
picchiare duro. In questo ha tutta l’idealizzazione, l’irrealtà mentale
della pornografia, e del porno ha il suo rivolgersi subdolo ad una parte
repressa, inconscia.
Che messaggio emerge da Authority? E non lo dico da vecchio lettore con le
rughe. Se fossi un kid, con le saracinesche della fantasia che ottundono il
mondo, cosa imparerei da Authority?
« Volevo solo divertimi un po’ » sono le ultime parole di Gamorra.
« Adoro essere me » ghigna Midnighter.
Gratificazione istantanea. Divertimento. Totale assenza di valori, da una
parte come dall’altra.
Un fumetto, un’opera di evasione, deve per forza esprimere dei valori? La
risposta sarebbe complessa. Io risponderei di sì, pronto ad essere tacciato
di marxismo o stalinismo (ma non mi riconosco in queste ideologie), spiegando
questo: che dal momento che un fumetto propone delle figure “di ruolo”,
dei “role models”, non si può limitare a gratificare gli istinti
più bassi, l’aggressività, la repressione, senza proporre anche una parte
positiva, “costruttiva” e non solo distruttiva.
Manca qualcosa in Authority. Manca la “pars construens” di ogni
retorica. La costruzione che viene dopo l’anarchia. In questo senso, siamo
molto vicini al “V for Vendetta” di Moore, che celebra
l’anarchia quasi fine a se stessa (ma con quale complessità di pensiero!),
e stacca la spina proprio quando arriva il momento di ricostruire. Allo stesso
modo, Authority non ha ricette da dare, non ha consigli perché non ha una
morale, non ha nemmeno una soluzione pratica da suggerire, che non sia, per
pura tranquillizzazione borghese, appoggiarsi ad istituzioni comunemente
percepite come socialmente “buone”, come l’ONU.
« Doveva pur rimanerci qualcuno per salvare il mondo. E qualcuno per
cambiarlo ».
« Abbiamo fatto qualcosa di veramente spaventoso. Siamo venuti e abbiamo
cambiato le cose nel modo in cui pensavamo dovessero essere ».
« Forse abbiamo fatto ciò che che dicevamo sempre di voler fare.
Cambiare le cose in meglio ».
Ma come? Semplicemente, asportando con precisione chirurgica quello che è
stato identificato come “male” (ma c’era solo male in
quell’Italia? Ben lontano dal biblico “Forse in quella città ci sono
cinque uomini buoni” “Non la distruggerò per quei cinque”)?
Con la distruzione di massa, giustificata da un “loro sono mafiosi
stupratori, non meritano altro”?
« Siamo qui per darvi una seconda possibilità. Rendetelo un mondo degno
di viverci ».
Authority ha l’enigmaticità e il terribile potere di certi angeli,
incomprensibili e portatori di distruzione. Come se gli uomini fossero troppo
piccoli, petulanti e stupidi. In prima linea, probabilmente, l’autore di
questo articolo.
Continuiamo a guardarci intorno, nel mondo di Authority. Il primo cattivone,
il Mandar... ehm... Gamorra, che cosa ci dice di sè?
Al di là del primo, prevedibile monologo iniziale, sono interessanti i suoi
scambi con il rappresentante ONU:
« Gamorra si fonda sul terrorismo ».
« Perchè? ».
« Perchè posso. Perchè sono un lupo in un mondo di pecore... Non ho
nessuna politica da portare avanti attraverso il terrore, nessun ideale da
trasmettere. Il terrore per il terrore ».
La nostra monoposto fila sempre più veloce nel vento della storia. La
motivazione, anche per un cattivo, è un rallentamento. “The villain
makes the hero”... eh, caro Jack, altri tempi...
Ma è interessante fare qualche riflessione sull’arma scelta da Gamorra.
Ragazzini.
Ragazzini volanti, super potenti, ma pur sempre ragazzini. Vivi. O forse no?
Vengono ritratti come bombe umane, senza pensieri, senza emozioni, eppure
parlano, reagiscono...
Perché ragazzini? Perché Ellis non ha pensato, che ne so, a dei draghi
giganti, o a delle forme spugnose, a delle ghiande, a degli opossum, a dei
dischi volanti che si aprono e dentro ci sono i robot, o a delle pornostar con
i cingoli? C’è sempre stato, in narrativa, un alone di inquietudine legato
ai ragazzini, alla loro volontà labile e incomprensibile: pensiamo al vecchio
film “Il Villaggio dei Dannati”, a cui Morrison ha
“rubato” le Stepford Cuckoos, o per restare in Italia al racconto di
Calvino “Ultimo venne il corvo”. I ragazzini fatti in serie
puzzano di genetica, di scienza indiscriminata, di abbandono di ogni morale e
di una tecnologia che, lei sì, è sfuggita al controllo.
La motivazione come elemento di credibilità del cattivo è sostituita dalla
paura strisciante, da una paura “sociale”, reale, storicizzata, lievemente
distorta e ingigantita. Un ritratto di noi stessi che ci guarda dalla pagina.
E lo stesso vale per la politica di stupro razziale della Doppia Albione.
« Non siete soli » dice Jennifer Sparks.
Non so voi, ma io non posso fare a meno di trovarla un’affermazione
inquietante.